Quaderni ADAC 8. Pietro Weber

Collana e volume a cura di Gabriele Lorenzoni
Coordinamento editoriale: Lodovico Schiera
Testo critico: Jessica Bianchera
Progetto grafico: Headline, Rovereto
Impaginazione: Claudia Polizzi – Graphic Design Studio, Bolzano
Editing: Daniela Trentin
Traduzioni: Soget Est, Padova
Crediti fotografici: Archivio fotografico Mart; Emanuele Tonoli; Pietro Weber
Edizioni Mart, 2021

  • "Altarolo Portatile" (dettaglio dell'opera), 2018, terracotta smaltata e dipinta, Courtesy l’artista

    "Altarolo Portatile" (dettaglio dell'opera), 2018, terracotta smaltata e dipinta, Courtesy l’artista

  • "Arcano" (dettaglio dell'opera), 2015, terracotta smaltata e dipinta, Courtesy l’artista

    "Arcano" (dettaglio dell'opera), 2015, terracotta smaltata e dipinta, Courtesy l’artista

  • "Elemento Fuoco" (dettaglio dell'opera), 2003, terracotta smaltata e dipinta, Courtesy l’artista

    "Elemento Fuoco" (dettaglio dell'opera), 2003, terracotta smaltata e dipinta, Courtesy l’artista

  • "Sentinella" (dettaglio dell'opera), 2012, terracotta smaltata e dipinta, Courtesy l’artista

    "Sentinella" (dettaglio dell'opera), 2012, terracotta smaltata e dipinta, Courtesy l’artista

Bio Intervista tratta da Quaderni ADAC 2021

"Mi piace perdermi e lasciare che le forme nascano da qualcosa che mi rimane dentro:
una figura, un frammento, un’ombra."

Per Pietro Weber (Cles, TN, 1959) arte e vita non sono in alcun modo distinte, nel senso che la sua vocazione artistica è del tutto immanente e le sue scelte di vita sono sempre dettate dalla spontanea e totale adesione all’urgenza del fare arte, senza compromessi, a costo anche di scontrarsi con un sistema sociale ed economico in cui spesso non viene riservata la giusta attenzione alla creatività e alla cultura.

"Non avevo un'idea precisa di cosa fare, nel senso che non ho mai progettato a tavolino la mia professione. Sono semplicemente partito da una constatazione che non potevo negare o reprimere: l'arte è sempre stata per me un'esigenza primaria e quotidiana. Fare l'artista, nel senso di definizione classica del ruolo, non è mai stata un’ossessione: mi mantenevo facendo vari lavori e non perdevo occasione per continuare a sperimentare con i materiali, a fare quello che mi interessava. Con gli anni i contorni della mia figura si sono chiariti, in maniera molto naturale e spontanea: ho deciso di lasciarmi andare, dedicandomi completamente all'arte ma senza rincorrere definizioni. Mi sento libero in quello che faccio e non voglio avere un'agenda piena di impegni e appuntamenti. Al contrario, vivo male gli obblighi e le scadenze e cerco di proteggere la mia libertà e indipendenza: l’agenda è uno strumento che detesto, al quale rinuncio volentieri!"

La formazione di Weber avviene fra due poli contrapposti, la città di Torino, dove si trova a vivere e dove si forma, sfruttando appieno le occasioni offerte dalla vivace e stimolante scena culturale torinese a cavallo fra anni Settanta e Ottanta, il piccolo comune montano di Denno, in Valle di Non, ai margini dell’area dolomitica trentina, intesa come luogo rurale ma anche come spazio della memoria, dove è possibile svegliarsi la mattina osservando il bosco dalla finestra e vivere il ciclo delle stagioni secondo ritmi ancestrali. "Mi sono trasferito a Torino da ragazzino al seguito della mia famiglia e ci ho vissuto per una decina di anni. Quello con Torino è stato un rapporto ambiguo: l’ho amata e mi ha dato molto, ma dall’altra non mi piaceva vivere in città. Ero attratto dalle montagne, dai miei luoghi d’infanzia. Appena ho potuto decidere liberamente sono tornato in Trentino, a Denno, nella vecchia casa di famiglia, che ho ristrutturato da solo, con pazienza, costruendo i mobili, decorando gli interni e raccogliendovi opere e ricordi, miei e di artisti e amici che stimo. La considero una sorta di opera d’arte totale, uno spazio immersivo, e insieme un osservatorio sul paesaggio naturale della valle. Negli anni ho aggiunto all’ambiente domestico il mio atelier e una sala espositiva, dove raccolgo buona parte delle opere che sono ancora con me." 

La formazione a Torino avviene sia dentro che fuori le aule del Liceo Artistico Statale e dell’Accademia Albertina. "A 15 anni lavoravo già nello studio di Bruno Martinazzi, scultore torinese molto attivo per la famiglia Agnelli. Nonostante il grande successo e il ruolo di rilievo all'interno dell'Accademia Albertina, era una persona estremamente umile, aveva una grande conoscenza della materia. Nel suo studio ho realizzato molti dei miei lavori giovanili, che consideravo e considero prove ma nei quali credo si possa intravvedere qualcosa di più del semplice esercizio di stile! Tengo ancora con me una scultura di marmo raffigurante un dito pollice in scala gigante: avevo curiosità per tutto e anche la mia stessa mano poteva diventare un soggetto valido. Dal marmo al ferro al disegno, non mi davo limiti e in ogni ambito Martinazzi sapeva consigliarmi. Un rapporto davvero speciale lo avevo con Carol Rama: dopo esserci conosciuti nel corso di un’inaugurazione, siamo diventati molto intimi. Lei era già anziana, ma non c'era volta che uscisse senza chiamarmi! Abbiamo attraversato insieme gli anni straordinari in cui Torino era una delle capitali europee del contemporaneo, con una vita culturale e notturna davvero vivaci. Fra le artiste che ho avuto il piacere di conoscere e frequentare, mi piace ricordare anche Bice Lazzari, che viveva a Roma: sono stato ospite e casa sua e ricordo con nostalgia l’intensità del dialogo e la bellezza della sua cultura così ampia e delle sue esperienze internazionali. A Torino ho avuto la fortuna di entrare in contatto con moltissime personalità del campo dell'arte e della cultura. Frequentavo in maniera assidua la galleria Weber&Weber, diretta da mio fratello Alberto, dove passavano artisti e collezionisti di livello nazionale e internazionale. Anche se il mio carattere è molto riservato con le persone che ritengo stimolanti riesco a mantenere rapporti molto profondi, anche a distanza. Ho continuato a frequentare studi di altri artisti e incontrare persone del campo culturale anche negli anni seguenti e certamente questo baglio di contatti è stato fondamentale per la mia crescita: mi ha fatto aprire la mente e aiutato a tenere duro nel mondo dell'arte nei momenti difficili."

I viaggi sono uno degli strumenti fondamentali al servizio della voglia di conoscere, che si esprime sia in esperienze personali che in progetti artistici. "Fra le esperienze cui sono rimasto più legato c’è certamente il periodo trascorso in Senegal, per la Biennale: sono rimasto impressionato dalla capacità di fare arte senza secondi fini. Ho conosciuto decine di creativi, che non si ritengono artisti, ma semplicemente producono manufatti di qualità eccezionale. Noi europei amiamo dare un’etichetta a tutto, artigianato, arte, tecnica: in Senegal ho imparato l’importanza della creatività libera. Sull’isola di Goreé ad esempio vive una comunità artistica eccezionale, che ha saputo trasformare la terribile memoria dell’isola, che era il porto di partenza degli schiavi verso le Americhe, in qualcosa di positivo. Poi certamente c’è la Turchia: mi ci sono recato molte volte, all’inizio per una grossa commissione artistica, la realizzazione di un murales nella sede dell’ONU di Ankara. Ci sono poi tornato per piacere e ho esplorato e frequentato persone del luogo. Ho vissuto un paio d’anni a Parigi nella mia fase di formazione, città che non ha bisogno di presentazioni. Mi ha lasciato molto anche Salisburgo: pur non essendo certo un grande centro per l’arte contemporanea, le sono molto legato per uno dei primi progetti internazionali, all’inizio della mia carriera, quando ho potuto vivere nella Casa degli Artisti e avere uno scambio sincero con i creativi del posto. Importante è stata anche l’esperienza a Bruxelles, dove ho esposto presso il Centro di Cultura Italiana grazie a una collaborazione fra l’Università di Belle Arti locale e l’Accademia di Brera."

Le sfaccettature della personalità di Pietro Weber sono molteplici, tutte sotto l’unica bandiera della creatività ma allargate a vari ambiti, dalla scenografia, con la quale a Torino da giovane si è fatto conoscere ad alto livello lavorando presso il Teatro Stabile di Torino, all’organizzazione di eventi culturali, come curatore di mostre e ideatore di rassegne. "Tutto è legato, tutto contribuisce alla mia personalità e tutto per me si riassume nell’unica dimensione di una vita dedicata all’arte. Negli ultimi anni ho dovuto abbandonare esperienze diverse rispetto alla creazione artistica vera e propria perché l’attività mi assorbe pienamente e non voglio disperdere le mie energie. Ma non rinnego alcuna esperienza del passato e anzi sono fiero della mia formazione poliedrica e anche di aver fatto lavori utili per mantenermi. Certamente essere stato attivo come scenografo e costumista per compagnie quali 'Assemblea Teatro' di Renzo Sicco e 'Non solo Teatro' di Guido Castiglia mi ha dato una spinta notevole nell’ambito del rapporto con la terza dimensione e con gli effetti di luce e colore. Senza tutto questo non sarei quello che sono ora!"

Tutto il percorso artistico di Pietro Weber si basa sulla sperimentazione applicata ai materiali. La terracotta richiede competenze specifiche ma anche in questo caso accanto allo studio vi sono anni di prove, esperimenti, vicoli ciechi e inaspettati sbocchi creativi, senza mai paura di sbagliare e mantenendo sempre al centro la propria autonomia di pensiero e creazione, lontana dalle mode del momento. "A parte pochissimi consigli di base, ho imparato tutto da solo quello che c’è da sapere sulla terracotta. Ho provato e riprovato a impastare, sbagliare, rifare, correggere. Ho sperimentato moltissimo i colori, anche applicando soluzioni assolutamente non ortodosse: ad esempio i colori all’acqua non andrebbero utilizzati perché in cottura virano in maniera difficilmente prevedibile. Io invece ho voluto introdurli nel mio lavoro, accanto a ossidi e smalti, e ho ottenuto effetti cromatici davvero interessanti. A me interessa sempre conoscere la materia, in maniera diretta, a modo mio, senza partire da insegnamenti scolastici che ingabbiano e omologano la produzione: mi piacere essere aperto, non porre limiti alla materia. Provo, sperimento e a volte il caso ti conduce all’errore, altre volte all’effetto unico e irripetibile. Non mi interessa fare la stessa cosa due volte, non mi è mai capitato: chi si ripete lo fa solo per assecondare il mercato dell’arte, non per un’autentica esigenza interiore. Quando conosco a fondo una materia, quasi non mi interessa più e da questo punto di vista la terracotta è perfetta per me perché non ha praticamente limiti, sia nelle colorazioni che nelle forme, quindi le possibilità di sperimentare sono infinite! Ogni volta che si apre il forno c’è una sorpresa. Sperimentare e assecondare il caso non vuol però dire essere naïve e la mia attività di ceramista è stata più volte premiata, in particolare nel 2007 con il premio nazionale Viaggio attraverso la ceramica presso la Fondazione Museo Manuel Cargaleiro di Vietri sul Mare (Salerno), che è una delle realtà di riferimento in Italia per questo ambito di ricerca."

Le forme archetipe che emergono, in particolare nelle terrecotte, derivano da esperienze personali, viaggi, suggestioni, occasioni, incontri inaspettati con persone o con oggetti, piuttosto che da fonti letterarie o cinematografiche. "Nel mio lavoro ci sono sempre la natura, l’animale e l’uomo: queste sono le mie uniche tre fonti. A loro amo però attingere in maniera diretta, senza la mediazione di fonti letterarie poiché queste possono diventare una sorta di condizionamento che non aiuta la mia arte, anzi la ostacola. È per la ricerca di un rapporto immediato e diretto con la natura che ho lasciato la città, dove gli stimoli culturali erano molti, ma la natura era così imbrigliata e debole da non riuscire a manifestarsi a me come fonte diretta e pura. Una volta che l’opera è realizzata talvolta mi dedico a ricostruire le possibili origini di certe forme e sono molto attento alle interpretazioni che il pubblico ne dà; a questo punto diventano interessanti i riferimenti letterari e in generale culturali, ma non nella fase creativa, che voglio resti totalmente libera. Non produco schizzi o bozzetti, non progetto se non le parti strutturali. Preferisco che le forme fluiscano libere, perdermi nella creatività. Disegno molto ma non sono mai progetti; il disegno lo abbandono dopo averlo realizzato perché quando modello la terracotta non voglio sapere già cosa farò, cosa ne uscirà."

Pietro Weber vive e lavora a Denno, in Trentino.