Quaderni ADAC 4. Christian Fogarolli
Collana e volume a cura di Gabriele Lorenzoni
Coordinamento editoriale: Lodovico Schiera
Testo critico: Lorenzo Benedetti
Progetto grafico: Headline, Rovereto
Editing: Daniela Trentin
Traduzioni: Eurotrad, Urbino
Crediti fotografici: Cassander Eeftinck Schattenkerk; Christian Fogarolli; Rolando Paolo Guerzoni; Riccardo Malberti; Andrea Turso; Ernst Van Deursen
Stage: Giosuè Ceresato; Valentina Dolcini; Leonardo Russo
Un ringraziamento particolare a Galerie Alberta Pane - Parigi/Venezia e Galleria Mazzoli - Modena/Berlino
Edizioni Mart, 2018
Bio Intervista tratta da Quaderni ADAC 2018
“L’aspetto di ciò che è considerato anomalo, idiota, la cura seguita a un incidente, la redenzione dopo un crimine, l’arte nelle scienze mediche”.
Christian Fogarolli (Trento, 1983) è un artista per vocazione e necessità, proveniente da un percorso formativo non ortodosso, che lo avvicina più al profilo di un professionista del mondo culturale che a quello di un creativo: “Non ho una formazione accademica o pratica, ma non posso nemmeno definirmi autodidatta. Il mio percorso pur non essendo prettamente artistico non è distaccato da questo: mi sono infatti laureato prima in archeologia, poi in storia dell’arte e infine ho conseguito un master in diagnostica e restauro. Non ho studiato pittura o frequentato corsi di pratiche fotografiche, ma penso di aver sempre avuto una mia personale visione estetica unita a una capacità manuale, che, mescolate all’ingegno e alla ricerca, portano il tutto a quella alchimia creativa che si manifesta nei miei lavori”.
Fogarolli è senza dubbio una figura anomala nel panorama contemporaneo, che si caratterizza per una personalissima ed elaborata concezione del ruolo dell’artista e del suo posizionamento nella società: “Per essere artisti oggi credo servano molti fattori, una combinazione di ingredienti: certo sono importanti le capacità innate, ma queste si inverano nel lavoro quotidiano e non possono essere staccate da intuizione e riflessione. Chi percorre questo cammino in un certo modo, con una certa professionalità e coerenza, confida nella giustizia del tempo. Credo che un’attitudine artistica si possieda per via genetica, che esista un’indole inconscia che ci guida. Trovo spesso nelle biografie di alcuni artisti la frase ‘nasce come artista nell’anno x’: è un concetto che non condivido. Questa teoria non fa altro che rafforzare il luogo comune per cui ‘tutti possono fare e improvvisarsi’. Ho l’impressione che molto spesso oggi gli artisti lavorino per impulsi estemporanei, cambiando tematiche, idee, finendo per rinunciare alla coerenza. Io ho cercato, in base al mio interesse, di creare un percorso del tutto personale in un ambito di ricerca abbastanza preciso”. È proprio la coerenza la cifra caratteristica e irrinunciabile del suo lavoro, il filo rosso che lega tutta la sua produzione: “La coerenza non è un elemento comune nell’arte contemporanea, purtroppo viene sempre meno utilizzata come termine di stima e di qualifica. A mio avviso, avere un minimo comun denominatore nel proprio lavoro garantisce all’artista uno standard di qualità. Non deve per forza essere formale ed estetico, ma potrebbe anche identificarsi nelle precise tematiche di una ricerca e di un interesse. Nell’esposizione al pubblico, alcuni esperimenti possono non riscontrare favore dal punto di vista estetico, ma ciò non toglie l’apprezzamento del lavoro e il valore della ricerca coerente sostenuta nel tempo”.
Il percorso formativo porta Fogarolli a contatto con diversi operatori del sistema artistico e culturale, in intima relazione con gli aspetti teorici legati alla storia e alla critica d’arte, ma anche alla conservazione del patrimonio artistico, all’analisi dei materiali, alla tutela di siti e reperti archeologici: “Tutto ciò che esprimo fa parte del mio profilo personale, non percepisco mai elementi in contrasto fra loro perché amo un’arte aperta e interdisciplinare. Non mi sono però mai iscritto ad alcuna scuola a indirizzo artistico. Il fatto di non aver avuto una formazione accademica forse mi consente di pensare le cose in maniera più individuale e non essere influenzato dal rapporto allievo-maestro. Non ho avuto mentori che mi forzassero la mano in una direzione e non mi sono dovuto omologare a una tendenza, a un gusto o una moda, come spesso avviene in ambito accademico”.
La ricerca di Fogarolli si sviluppa all’interno del campo scientifico e parascientifico legato in particolare alla psicologia e psichiatria in collegamento poi ad altre discipline. Non esiste una connessione biografica che lo abbia spinto verso questa tematica, ma solo un profondo interesse personale che si accresce nello studio dei materiali d’archivio e nel contatto diretto con i pazienti: “L’incontro con gli archivi di ex manicomi italiani è stato un passaggio fondamentale nel percepire il mio reale interesse verso l’azione continua dell’uomo nella creazione di categorie. Il dividere per fattori comuni e differenze è una metodologia che a mio avviso ha molte analogie con l’ambito artistico: le comparazioni visive in diverse discipline, tempi e aree geografiche possono essere un modo per comprendere meglio il mondo: Alexander von Humboldt fu pioniere in questo. Il percorso si è poi allargato a realtà geografiche diverse, europee ed extra, con alcune incursioni anche in ambiti carcerari e giudiziari. Ultimo approdo è stato il Centro di salute mentale di Gorizia, nel quale Franco Basaglia iniziò la sua rivoluzione nel 1961. Anche in questo caso la base è stata la ricerca archivistica attraverso i documenti che ora sono in fase di riordino, ma la collaborazione si è ampliata fino a coinvolgere i pazienti stessi, che sono diventati i miei assistenti e hanno partecipato alla messa in opera dei lavori. Il rapporto con loro spesso è del tutto naturale e in alcuni casi non sono nemmeno a conoscenza della loro situazione. Ciò rende interessante l’operazione ed evidenzia come sia labile il confine che noi stessi ci autoimponiamo: oltre quale limite va imposta una cura?”.
Nell’ultimo anno la sua attenzione si è focalizzata anche sull’ospedale psichiatrico di Bohnice a Praga. Gli esiti della ricerca si sono concretizzati in un progetto dal titolo, "Krajany" (“concittadino” in lingua ceca) che ricostruisce la storia di un gruppo di pazienti del manicomio di Pergine Valsugana trasferiti nell’Istituto psichiatrico di Praga nel 1916 a causa della vicinanza al fronte della Prima guerra mondiale. Di questa vicenda non restava che una flebile traccia documentaria che Fogarolli è riuscito a ricostruire: “La ricerca d’archivio ti porta davvero lontano. In questo caso appaga personalmente poter ridare un nome a quarantotto persone (trentini), morti per la maggior parte di tubercolosi entro due soli anni dal loro arrivo a Praga, senza che nessuno sapesse nulla di loro. Sono stati completamente cancellati dalla grande storia e dalla micro-storia delle comunità locali. Ma non vorrei che il mio lavoro fosse confuso con quello di un ricercatore: al di là dell’emozione della scoperta, il lavoro inizia per me nel momento in cui do forma materiale agli stimoli provenienti dai luoghi, dai documenti, dalle immagini, formalizzo dei concetti. Le opere devono avere la forza di parlare da sole ed è necessario che lo facciano in maniera intelligente e rispettosa. Non sarei onesto con la mia ricerca e con il mio pubblico se mi limitassi a gettare tutte le storie, il materiale e le testimonianze che raccolgo nel marasma dell’arte contemporanea. Quello che chiedo all’osservatore è un processo di elaborazione lento e faticoso, che rende le opere meno comprensibili e quindi meno ‘commerciali’, uno sforzo non indifferente di decodifica della stratificazione, sia materiale che concettuale, sottesa ai miei lavori”.
Lo sviluppo della poetica di Fogarolli segue una linea che si serve da sempre dei concetti, prima che della materia. Il suo è un linguaggio che vuole aprirsi alla possibilità di dar voce a chi non ha mai avuto modo di averne. Studi, testi scientifici e pazienti divengono le forze motrici del suo operare, gli “strumenti” di cui si serve prima di ricorrere a fotografie, video e installazioni scultoree. “Mi sono sempre interessato a letture poco artistiche; in particolare scritti teorici di stampo scientifico, legati allo studio della mente: dalla neurologia alla medicina, dall’archeologia all’antropologia. Considero importanti e influenti gli scritti di Oliver Sacks, medico, scrittore e docente di neurologia: nonostante soffrisse di prosopagnosia, un disturbo che causa difficoltà nel riconoscere i volti delle persone, sperimentava le sue teorie sui pazienti ricorrendo a pratiche particolari che talvolta erano davvero vicine alla creatività e all’arte; oggi potrebbero sembrare a tutti gli effetti performance. Le prime fasi del mio percorso sono state molto influenzate da volumi teorici sulla documentazione fotografica e sull’estetica dell’immagine e da saggi che toccano gli aspetti archivistici in ambito scientifico. Anche se smentite scientificamente, ho sempre ritenuto attuali testi teorici sulla fisiognomica risalenti al XVI secolo come quelli di Gian Battista Della Porta, che intersecano gli studi sulla mente, l’Estetica del Brutto per dirla con Rosenkranz, con l’estetica dell’immagine”. Le fonti biografiche e letterarie sono altri impulsi a cui Fogarolli attinge; ne sono un esempio alcune lettere di Friedrich Nietzsche, in particolare quelle che testimoniano il collasso mentale che egli accusa nel 1889, la cui causa non fu mai chiarita e che lo portò alla morte: “In alcuni scritti personali il filosofo tedesco manifesta lo stupore che prova al cospetto di una grande pietra di forma piramidale che si trova nelle montagne dell’Engadina, in Svizzera, nei pressi di Surlej, dove era solito trascorrere dei periodi di ritiro. Ho sentito la necessità di recarmi in quel luogo in cui passarono altri prima di me: Marcel Proust, Thomas Mann, Giovanni Segantini. Ho immaginato quei momenti e quei pensieri per poi inserirli nel progetto 'Stone of madness', nel quale indago, partendo da fonti scritte e iconografiche, una credenza diffusa fin dal Basso Medioevo secondo la quale lo squilibrio mentale e la pazzia erano provocati da una pietra fissa nel cranio. Queste superstizioni, quasi spirituali, tribali, mi hanno fatto pensare alla grande pietra piramidale di Surlej, incastonata nel centro della testa dell’Europa, come un emblema dei disordini e dei disequilibri odierni”.
Quella di Fogarolli non è una ricerca semplice, che segue tendenze o stilemi commerciali: “Come artista mi sono sempre proposto di utilizzare il mio lavoro e la mia ricerca come mezzi per porre degli interrogativi, ma non per arrivare a giudizi o posizioni personali. Questo credo sia rilevante: il come porre delle questioni che non sta a me risolvere. Credo che il mio lavoro abbia sì una chiave di lettura attuale, politica e sociologica, ma il primordiale intento della creazione non è proporre un lavoro connotato da questi punti di vista. Ho già detto alcune volte di come ho sempre pensato che il ruolo dell’arte sia anche quello di arrivare a risvolti politici e sociali, ma non partendo da questi. Mi sembra ingiusto dare un percorso unico e indirizzare la discussione e non ho mai amato cavalcare gli argomenti del momento. Preferisco andare controcorrente, sarebbe facile e calzante pensare oggi a un progetto su migrazioni, transgender o violenza sulle donne. Preferisco affrontare problematiche più velate, in alcuni casi celate dentro lo spettatore stesso e che si nascondono fra trama e ordito della società e della politica. Quasi mai si vedono, ma stanno attorno e dentro di noi. Lettore compreso”.