Le Collezioni del Mart

Carlo Carrà, “Le figlie di Loth” (dettaglio), 1919, olio su tela, Mart, Collezione VAF-Stiftung

Curatori e conservatori stanno attualmente lavorando al nuovo allestimento delle Collezioni del Mart: vieni a scoprirlo dal 27 novembre.

Le Collezioni del Mart, costituite nel 1987 a partire dalle pubbliche raccolte d’arte della Provincia e dei Comuni di Trento e Rovereto, sono state integrate negli anni con nuclei di collezionisti privati e fondazioni.

Sviluppate attorno all’originale nucleo di pittura e scultura ottocentesca, contano ora un patrimonio di circa 20.000 opere che ripercorre gli ultimi due secoli di storia. Nelle Collezioni coesistono avanguardia e tradizione, dal Futurismo a Novecento Italiano, dall’Arte Povera alla Transavanguardia, fino alle ricerche artistiche più recenti.

Esplora le Collezioni

Pillole d'arte

Guarda la serie dedicata alle Collezioni raccontate dai curatori del Mart

La storia del Mart attraverso le Collezioni

Le Collezioni raccontano la storia stessa del Mart: nel corso degli anni il Museo ha espresso la propria missione istituzionale, sviluppando strategie per tutelare e incrementare il patrimonio. Collezionisti privati e fondazioni hanno permesso, con donazioni e depositi a lungo termine, di dare organicità al patrimonio. Da sempre il Mart espone le opere a rotazione nelle sale espositive, con un dinamismo che consente approfondimenti tematici e rinnovati confronti.
Le raccolte rappresentano anche l’identità del Mart e tracciano nel loro sviluppo una storia di analisi critica e passione della ricerca che vi invitiamo a esplorare.

Pittura e scultura ottocentesche

Il Mart conserva un’opera che, quando fu esposta per la prima volta, suscitò un vero e proprio scandalo. È la “Venere che scherza con due colombe” (1830) di Francesco Hayez, un capolavoro dell’Ottocento italiano. All’epoca questo dipinto si attirò delle critiche per la carica erotica e l’innovazione stilistica, che rompeva i canoni del classicismo a favore di uno spinto realismo. Nei panni della Venere si cela il ritratto della ballerina Carlotta Chabert, commissionato dal conte trentino Girolamo Malfatti.
L’opera proviene dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.

Francesco Hayez, “Venere che scherza con due colombe (Ritratto della ballerina Carlotta Chabert)”, 1830

Francesco Hayez, “Venere che scherza con due colombe (Ritratto della ballerina Carlotta Chabert)”, 1830
Francesco Hayez, “Venere che scherza con due colombe (Ritratto della ballerina Carlotta Chabert)”, 1830, olio su tela, Mart, Deposito Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto

Artisti trentini di fine Ottocento e inizio Novecento

Il Mart ha indagato a fondo la ricezione in Trentino delle esperienze che maturano nell'ambito dei maggiori centri artistici nazionali e internazionali. Pittori come Eugenio Prati e Bartolomeo Bezzi, formatisi a Venezia, inizialmente mostrano una preferenza per i soggetti della vita quotidiana, ma si spostano in seguito verso una poetica di carattere simbolista.

A Venezia è legato intimamente anche un altro pittore trentino: Umberto Moggioli. A Burano, dove risiede dal 1911, Moggioli dipinge paesaggi lagunari che risentono dell’influenza del Simbolismo francese, assimilato dall’artista grazie all’amicizia con Gino Rossi, un pittore che aveva conoscenza diretta della Scuola di Pont-Aven.

Umberto Moggioli, “Campagna a Treporti”, 1913

Umberto Moggioli, “Campagna a Treporti”, 1913
Umberto Moggioli, “Campagna a Treporti”, 1913, olio su tela, Mart, Provincia autonoma di Trento - Soprintendenza per i beni culturali, donazione eredi Francesco Moggioli

Tra le opere affidate dal Comune di Trento al Mart c’è anche la Gipsoteca dello scultore Andrea Malfatti. Sono oltre 300 pezzi, tra bozzetti in argilla e in gesso, creati dall'artista come modelli per sculture successivamente realizzate in pietra. I soggetti spaziano dai temi orientalisti che celano un messaggio patriottico (come “Schiava ribelle”, allegoria del Trentino assoggettato all’Impero Austro-ungarico) ad altri che rispondono semplicemente al gusto per l’esotismo allora di moda.

Un altro dipinto che testimonia il collegamento tra il Trentino, terra di confine, e la cultura mitteleuropea è il trittico “La leggenda di Orfeo” (1905), dipinto da Luigi Bonazza a Vienna, dove l’artista si era formato. Nella pittura di Bonazza l’influenza della Secessione viennese, riconoscibile soprattutto negli ornamenti della cornice e di alcuni dettagli, si innesta sulla classicità mediterranea e sull’adozione della tecnica puntinista.

Luigi Bonazza, “La leggenda di Orfeo/ Rinascita d’Euridice/ Morte d’Orfeo”, 1905

Luigi Bonazza, “La leggenda di Orfeo/ Rinascita d’Euridice/ Morte d’Orfeo”, 1905
Luigi Bonazza, “La leggenda di Orfeo/ Rinascita d’Euridice/ Morte d’Orfeo”, 1905, olio su tela, Mart, Deposito SOSAT

Sull’esempio della pittura francese, la ricerca sulla mescolanza retinica anziché fisica dei colori viene sviluppata, in Italia, dai divisionisti. Su questa fondamentale esperienza si basa il lavoro di Giacomo Balla e dei più giovani Umberto Boccioni e Gino Severini. Le Collezioni del Mart documentano l’esordio di questi pittori in seno al Divisionismo, negli anni che precedono la nascita del Futurismo, con una serie di ritratti che approfondiscono il tema degli effetti di luce.

Umberto Boccioni, "Nudo di spalle (Controluce)", 1909

Umberto Boccioni, "Nudo di spalle (Controluce)", 1909
Umberto Boccioni, "Nudo di spalle (Controluce)", 1909, olio su tela, Mart, Collezione L.F.

Le raccolte futuriste

Il Mart è un punto di riferimento internazionale per lo studio del Futurismo, grazie ad un nucleo di opere e al patrimonio di fondi documentari conservati nell’Archivio del ’900, dove ha sede il Centro Internazionale Studi sul Futurismo.
Dopo il lascito delle opere di Fortunato Depero – circa 3.000 pezzi a cui si sono aggiunti, negli anni, molti altri lavori – sono confluiti al Mart capolavori di Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Enrico Prampolini, Luigi Russolo, Gino Severini e di altri firmatari dei Manifesti futuristi, compreso il padre del movimento: Filippo Tommaso Marinetti.

Se l’invenzione del termine "futurismo" si deve a lui, lo sviluppo del movimento va attribuito a una moltitudine di voci che introducono nuove iconografie e nuovi miti: la città industriale, innanzitutto, con la sua folla brulicante, i cantieri rumoreggianti e i tram che ben rappresentano il ritmo frenetico della vita moderna. Tutti temi rappresentati dal dipinto di Carlo Carrà “Ciò che mi ha detto il tram” (1911): uno dei capolavori della prima stagione dell’avanguardia futurista.

Dinamismo e modernità, temi al centro di questa poetica, vengono interpretati con una nuova sintesi formale, basata sul principio di simultaneità che unisce nello stesso quadro ricordi e visioni appartenenti a momenti e luoghi diversi, come si può vedere nell’opera di Giacomo Balla “Velo di vedova+paesaggio (Corazzata+vedova+vento)” (1916), o sulla molteplicità dei punti di vista, come evidenzia la frammentazione della figura nel “Ritratto di Madame M.S.” di Gino Severini.

Gino Severini, “Ritratto di Madame M.S.”, 1913-15

Gino Severini, “Ritratto di Madame M.S.”, 1913-15
Gino Severini, “Ritratto di Madame M.S.”, 1913-15, pastello su cartoncino su tela, Mart, Collezione L.F.

Con le “Compenetrazioni iridescenti” (1912-1913), frutto degli studi sulla scomposizione della luce, e i “Numeri innamorati” (1920), la pittura di Balla arriva, invece, a spingersi fino a esiti astratti.

Le raccolte futuriste del Mart privilegiano soprattutto la linea interpretativa del movimento che discende dalla visione di Balla e Depero, i quali sottoscrivono il manifesto "Ricostruzione futurista dell’universo" (1915), che sancisce l’allargamento dell’estetica futurista dall’arte alla vita, progettando la radicale trasformazione dell’ambiente umano, dall’arredo alla moda, dal cinema al teatro, dalla cucina alla pubblicità, dalla musica alla danza. L’universo nuovo di cui parlano i due artisti è “coloratissimo e luminosissimo” e trova forma in ogni dettaglio del quotidiano. In questo clima di totale rinnovamento spicca la ricerca sonora di Luigi Russolo, pittore e musicista, autore del manifesto “L’arte dei rumori" (1916) e ideatore degli “Intonarumori”, strumenti produttori di inedite sonorità.

Le arti performative rivestono un ruolo fondamentale anche nella ricerca di Fortunato Depero, che trova nell’ambiente del teatro e in particolare nel rapporto con i Balletti Russi dell’impresario Sergeij Diaghilev, in quegli anni a Roma, un nuovo stimolo per sviluppare uno stile nel quale si mescolano motivi magico-fantastici, ispirati al mondo fiabesco del folklore popolare orientale, e geometrie cubo-futuriste. L’avvicinamento alla tradizione popolare russa avviene in occasione della preparazione delle scene e dei costumi di “Le Chant du Rossignol”, balletto ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen musicata da Igor Strawinskij, che Diaghilev commissiona a Depero nel 1916. L’artista ambisce a realizzare il visionario sogno di un teatro “nuovo e sconfinato”, che purtroppo si infrange di fronte a difficoltà contingenti di messa in scena.

Fortunato Depero, “Flora magica, scenografia de Le Chant du Rossignol", 1917 (ricostruzione del 1981

Fortunato Depero, “Flora magica, scenografia de Le Chant du Rossignol", 1917 (ricostruzione del 1981
Fortunato Depero, “Flora magica, scenografia de Le Chant du Rossignol", 1917 (ricostruzione del 1981), legno e cartone verniciati, Mart

La “fase meccanicistica” che contraddistingue le ricerche futuriste degli anni Venti è documentata al Mart da opere come “La rissa” (1926) di Depero, la scultura di Renato Bertelli raffigurante il ritratto di Mussolini in chiave dinamica, e da artisti come Fillia (pseudonimo di Luigi Colombo), Ernesto Thayaht, Nicola Diulgheroff, tra i fautori del nuovo corso dell’estetica futurista che, in quegli anni, guarda agli sviluppi delle ricerche dei puristi francesi e dei suprematisti russi.

Il mito della velocità, che il meccanicismo porta con sé, è la nuova mistica dell’era moderna da cui nasce, tra la fine degli anni Venti e i primi anni Quaranta, l’Aeropittura futurista, teorizzata nel Manifesto del 1929 e presentata alla Galleria Pesaro di Milano nel 1931. L’Aeropittura è rappresentata al Mart da opere di Tullio Crali e di Enrico Prampolini, artista che rappresenta la dimensione infinita dello spazio celeste e, attraverso il recupero della matrice organica surrealista, giunge alla sperimentazione polimaterica.

Tullio Crali, "Duello aereo", 1929

Tullio Crali, "Duello aereo", 1929
Tullio Crali, "Duello aereo", 1929, olio su cartone su tavola, 49 x 68 cm, Mart

Novecento Italiano, Metafisica e Astrattismo nel periodo tra le due guerre

Un altro nucleo di grande rilevanza nelle Collezioni del Mart è costituito da una raccolta di opere particolarmente significative per la lettura e la comprensione dell’arte italiana del XX secolo.

La Metafisica è rappresentata da alcuni capolavori di Giorgio de Chirico, primo fra tutti “La matinée angoissante” (1912): un paesaggio immobile e pervaso da un senso di attesa, dove la luce illumina la facciata di un palazzo e proietta ombre misteriose in primo piano. Si tratta di una delle sue prime “Piazze d’Italia”, ispirate alle geometrie delle architetture rinascimentali rilette in chiave onirica.
Altre opere si riferiscono, invece, alla fase che l’artista definisce “il ritorno al mestiere”: “Autoritratto con la madre” (1921), per esempio, evidenzia il recupero dell’iconografia del ritratto rinascimentale e della tradizionale sapienza tecnica con la quale de Chirico rivendica il ruolo di “pictor classicus”.

Giorgio de Chirico, “La matinée angoissante”, 1912

Giorgio de Chirico, “La matinée angoissante”, 1912
Giorgio de Chirico, “La matinée angoissante”, 1912, olio su tela, Mart, Collezione VAF-Stiftung

Il contributo di Carlo Carrà al dibattito tra primitivismo e classicismo all’interno delle poetiche novecentesche è rappresentato in primo luogo da “Le figlie di Loth” (1919). In questo dipinto l’artista interpreta in modo originale il soggetto biblico, con l’obiettivo di esprimere - sono le parole di Carrà - “la magica quiete della forma”, frutto di un raffinato processo di spoliazione che conduce alla semplicità delle figure e alla chiarezza delle tinte.

Nelle Collezioni trovano spazio anche vere e proprie icone del movimento novecentesco, da “La sorella” di Achille Funi a “Meditazione” di Mario Tozzi, da “Autunno” di Piero Marrussig a “Il povero pescatore” di Mario Sironi.
I principi di armonia e bellezza della tradizione classica e mediterranea ispirano il lavoro degli artisti che militano nelle fila di Novecento Italiano, tendenza promossa dalla critica Margherita Sarfatti nei primi anni Venti. Sironi ne è uno dei massimi esponenti, con una pittura caratterizzata da grande equilibrio e semplicità e tesa a comunicare in modo semplice e chiaro gli ideali del proprio tempo, in particolare nell’ambito della pittura murale alla quale l’artista si dedica soprattutto negli anni Trenta: una fase documentata dagli studi e dai grandi cartoni per affresco conservati al Mart.

Mario Sironi, “Condottiero a cavallo”, 1934-35

Mario Sironi, “Condottiero a cavallo”, 1934-35
Mario Sironi, “Condottiero a cavallo”, 1934-35, tecnica mista su carta da spolvero, Mart, Archivio Mario Sironi di Romana Sironi

Tra gli altri protagonisti del panorama artistico italiano tra le due guerre vi sono anche Filippo de Pisis, Ubaldo Oppi, Massimo Campigli e Felice Casorati, di cui il Mart conserva capolavori come “Beethoven” e “Fanciulla nello studio”, dipinti nei primi anni Venti.
Tra gli scultori, infine, spiccano Arturo Martini e Marino Marini. Il primo è presente con diverse opere: dalle terrecotte di sapore arcaico, come “Il poeta Cechov” (1921-22) e “Busto di fanciulla ebrea” (1922), al raro gesso primitivista intitolato “La moglie del poeta” (1922), fino al grande bronzo di “Donna al sole” (1930), espressione compiuta dell’estetica novecentesca.

Negli anni Trenta in Italia la stagione artistica dell’astrazione si gioca fra Como e Milano, grazie all’attività espositiva della galleria milanese Il Milione, dove Giuseppe Ghiringhelli esponeva opere dei principali artisti astratti internazionali, da Arp a Gris, da Klee a Kandinskij ad Albers. La nascita della nuova estetica viene celebrata anche da un altro roveretano presente nelle Collezioni del Mart, Carlo Belli che nel 1935 pubblica “Kn”, dove “K” indica gli intrecci della forma con il colore e “n” il numero indeterminato delle loro infinite combinazioni. Di questa stagione di intensa sperimentazione il Museo conserva alcune importanti testimonianze che comprendono le sculture di Fausto Melotti, i dipinti di Bruno Munari, Mauro Reggiani, Manlio Rho, Mario Radice e un importante nucleo di “Variazioni” e di fotogrammi di Luigi Veronesi.

Fausto Melotti, “Scultura n. 23”, 1935

Fausto Melotti, “Scultura n. 23”, 1935
Fausto Melotti, “Scultura n. 23”, 1935, gesso, Mart, Provincia autonoma di Trento - Soprintendenza per i beni culturali

Informale e figurazione del secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra l’astrattismo si contrappone al realismo. Ma entrambe le tendenze condividono in realtà una tensione verso il rinnovamento radicale del linguaggio artistico.
Nelle Collezioni del Museo i due artisti protagonisti di questo dibattito sono Renato Guttuso, animato da una forte spinta verso le tematiche sociali ispirate alla lotta di classe, in favore di un ritorno alla figurazione, ed Emilio Vedova, che cerca un possibile connubio tra Futurismo ed Espressionismo attraverso un’astrazione a forti tinte.
Anche in Gastone Novelli la pittura rinuncia alla forma definita e si fa tramite della gestualità dell’artista. L’opera diventa il frutto di un confronto corpo a corpo con la tela, su cui il pittore proietta la propria vitalità e l’immediatezza del proprio sentimento.

Emilio Vedova, “Ciclo 62-B.B.9”, 1962

Emilio Vedova, “Ciclo 62-B.B.9”, 1962
Emilio Vedova, “Ciclo 62-B.B.9”, 1962, tecnica mista su tela, Mart, Deposito a lungo termine

Gli anni Cinquanta e Sessanta sono rappresentati, inoltre, da Fontana e Burri, pionieri della radicale rivoluzione linguistica della pittura italiana e protagonisti di due dei suoi maggiori sviluppi: da un lato la poetica dello spazio, dall’altro quella della materia.
I “Concetti spaziali” di Lucio Fontana chiamano in causa lo spazio come dimensione reale, che intravediamo oltre i tagli e gli squarci inferti alla tela, e anche come dimensione cosmica, trascendente.

Lucio Fontana, “Concetto spaziale. Attese”, 1959

Lucio Fontana, “Concetto spaziale. Attese”, 1959
Lucio Fontana, “Concetto spaziale. Attese”, 1959, idropittura su tela, Mart, Deposito collezione privata

Alberto Burri, invece, adotta le materie del mondo reale, dai sacchi di juta ai ferri, ai fogli di plastica, che realizzano nella messa in forma dell’opera tutta la loro autonoma forza espressiva. Dalla pionieristica ricerca di Burri sui materiali extra artistici trae ispirazione Salvatore Scarpitta, che nella tela ingloba oggetti reali come le cinghie usate per legare i carichi sui camion.

Alberto Burri, “Bianco Plastica BL1”, 1964

Alberto Burri, “Bianco Plastica BL1”, 1964
Alberto Burri, “Bianco Plastica BL1”, 1964, plastica, acrilico, combustione e cellotex, Mart, Collezione Domenico Talamoni

L’Arte Povera

L’esplorazione delle possibilità espressive dei materiali si rintraccia anche in alcune delle tendenze artistiche successive, come l’Arte Povera: definizione coniata dal critico Germano Celant alla fine degli anni Sessanta per spiegare il tentativo di rifondare il linguaggio dell’arte attraverso materiali non appartenenti alla tradizione, spesso di origine naturale. Rientrano in quest’ambito i lavori di Jannis Kounellis, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio, Mario Merz, mentre nella ricerca di Giovanni Anselmo e di Alighiero Boetti si riconosce maggiormente la matrice concettuale.

Giovanni Anselmo, “Entrare nell'opera”, 1971

Giovanni Anselmo, “Entrare nell'opera”, 1971
Giovanni Anselmo, “Entrare nell'opera”, 1971, fotografia con autoscatto riprodotta su tela, Mart, Collezione privata

Le opere di questi artisti sono generalmente di grande formato, in alcuni casi imponenti, e dialogano con lo spazio del Museo lasciando un segno di intensa forza espressiva. Così “Orchestra di stracci” di Pistoletto dispiega a terra gruppi di bollitori sibilanti all’interno di cerchi di stracci multicolori, mentre un doppio igloo di Merz mette in contrapposizione chiaro/oscuro, pieno/vuoto, naturale/artificiale.

Mario Merz, “Chiaro oscuro / oscuro chiaro”, 1983

Mario Merz, “Chiaro oscuro / oscuro chiaro”, 1983
Mario Merz, “Chiaro oscuro / oscuro chiaro”, 1983, neon, fascine, strutture metalliche, vetro, creta, morsetti e cemento, Mart

Gli anni Ottanta e Novanta

Gli anni Ottanta, invece, sono rappresentati nelle Collezioni dal lavoro dei pittori della Transavanguardia Sandro Chia, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Mimmo Paladino e Nicola De Maria, protagonisti del ritorno alla pittura e alla figurazione che contraddistingue questo periodo storico, in controtendenza rispetto alle correnti concettuali e minimaliste degli anni precedenti. Nei loro dipinti riappare la gioia del colore, il gusto per gli impasti cromatici, il piacere della narrazione per immagini.

Sandro Chia, Enzo Cucchi, “Composizione”, 1980

Sandro Chia, Enzo Cucchi, “Composizione”, 1980
Sandro Chia, Enzo Cucchi, “Composizione”, 1980, olio su tela, Mart, Lascito Alessandro Grassi

Parallelamente alle esperienze italiane, l’orientamento collezionistico del Museo si è aperto alle esperienze d’oltralpe, con le acquisizioni del “Grassello” (1979-80) di Joseph Beuys, testimonianza di una performance dell’artista tedesco tra Düsseldorf e Pescara, ma anche del lavoro di Anselm Kiefer, Magdalena Abakanowicz e dei protagonisti dell’Azionismo viennese Hermann Nitsch e Arnulf Rainer.

Anselm Kiefer, “Ich halte alle Indien in meiner Hand”, 1995

Anselm Kiefer, “Ich halte alle Indien in meiner Hand”, 1995
Anselm Kiefer, “Ich halte alle Indien in meiner Hand”, 1995, tecnica mista su carta da lucido applicata su tavola, Mart

L’arte americana degli ultimi decenni è anch’essa ampiamente documentata nelle Collezioni con opere di Donald Baechler, Ross Bleckner, Peter Halley, Jenny Holzer, Robert Longo, David Salle, Julian Schnabel, solo per citare alcuni dei protagonisti del panorama artistico d’oltreoceano.

Ricerche contemporanee

Le nuove acquisizioni del Mart riflettono un panorama internazionale contraddistinto dall’allargamento dei confini geografici e da un contesto multiculturale. A partire dagli anni Novanta, con la caduta del blocco sovietico e l’esplosione della globalizzazione, si profila un contesto di babele linguistica alimentata da nuove identità. Diaspore, libertà di espressione e di movimento, migrazioni, confronto intergenerazionale e identità sono fra i temi emergenti di questi anni.

Ne è un esempio l’opera di Ilya Iosifovich Kabakov, che anche dopo il suo trasferimento negli Stati Uniti d’America continua a indagare la società sovietica e il tema dell’utopia.
La condizione della donna nelle diverse culture è al centro di alcuni lavori di Marina Abramović, Vanessa Beecroft e Shirin Neshat, presenti nelle raccolte del Mart con alcune fotografie di grande formato. Ne è un esempio lo scatto appartenente alla serie “Balkan Erotic Epic”, che trae spunto dagli studi effettuati dalla Abramović sulla cultura popolare dei Balcani, in relazione al tema dell’erotismo e dei riti di fertilità della terra.

Marina Abramović, “Balkan Erotic Epic: Woman”, 2005

Marina Abramović, “Balkan Erotic Epic: Woman”, 2005
Marina Abramović, “Balkan Erotic Epic: Woman”, 2005, stampa cromogenica, Mart

Talvolta il Museo instaura un dialogo diretto con gli artisti del nostro tempo, producendo opere pensate appositamente per gli spazi del Mart. Un caso esemplare è costituito dall’installazione ideata nel 2006 da Douglas Gordon per il matroneo, lo spazio circolare interno che abbraccia la piazza del Museo. Sulle pareti bianche, ritmate dai tagli di luce provenienti dalle vetrate, l’artista britannico ha scritto o inciso parole e frasi tratte da libri, giornali, testi di canzoni o scritte sui muri delle città. Prive di un contesto logico, esse sono libere di instaurare un dialogo evocativo con il pubblico, sottolineando la polisemia del linguaggio e la sua potenziale ambiguità. Come ha dichiarato Gordon: “Ho sempre amato l’idea che le parole, che supponiamo essere concrete, quando dette da un’altra persona o in un altro tempo assumano un significato completamente diverso”.

Douglas Gordon, “Prettymucheverywordwritten, spoken, heard, overheard from 1989…”, 2006

Douglas Gordon, “Prettymucheverywordwritten, spoken, heard, overheard from 1989…”, 2006
Douglas Gordon, “Prettymucheverywordwritten, spoken, heard, overheard from 1989…”, 2006, installazione di testi murali in diversi caratteri tipografici e colori, Mart

“Trento Ellipse” di Richard Long è un altro esempio di opera realizzata appositamente per il Mart. Nel 2000 l’artista britannico compie uno dei suoi ‘walk’ in Trentino: esperienze che rispondono alla sua idea di "fare una nuova arte che corrisponda, al tempo stesso, ad un nuovo modo di camminare: il camminare come arte”. Sulle pendici del massiccio dell’Adamello, Long trascorre otto giorni camminando e disponendo delle pietre in circolo o in altre forme semplici come traccia del suo passaggio. In occasione della mostra a Palazzo delle Albere a Trento, all’epoca sede del Mart, l’artista crea questa grande ellisse con pietre di porfido trentino: un’opera che esprime la relazione armonica con la natura instaurata durante il cammino. Il suo lavoro, infatti, non rappresenta il paesaggio bensì ne racconta l’esperienza, sublimandola in forme archetipiche come quelle prodotte dall’uomo fin dalla preistoria.

Richard Long, “Trento Ellipse”, 2000

Richard Long, “Trento Ellipse”, 2000
Richard Long, “Trento Ellipse”, 2000, porfido, Mart