Definita nel Manifesto del Futurismo “più bella della Nike di Samotracia”, l’automobile diventa in Balla l’emblema della vittoria sulla difficoltà di rappresentare la velocità in pittura. Il movimento meccanico dell’automobile è per Giacomo Balla un elemento essenziale per rappresentare la velocità secondo i concetti teorici del Futurismo. Se la si osserva con attenzione si nota, in quest’opera, il prevalere, in primo piano, del moto sinusoidale delle ruote di un’auto. Nel resto dell’opera la scomposizione della velocità avviene secondo una successione dinamica, che inizia e termina in tante linee che si intersecano. Il tempo, altro tema caro ai futuristi, è scandito in un accelerarsi d’istanti, che si sovrappongono attraverso ampi triangoli in superficie e in profondità.
Nel 1895, dopo aver frequentato per pochi mesi l’Accademia Albertina, lascia Torino e si trasferisce a Roma. Nel 1900 soggiorna per sei mesi a Parigi, dove studia le tecniche dell’impressionismo e del postimpressionismo. Rientrato a Roma, accoglie nel suo atelier i giovani pittori Boccioni e Severini. Nel 1910 firma il Manifesto tecnico della pittura futurista, ma rimane esterno al movimento fino al 1912. Inizia a comporre tavole parolibere e partecipa all’attività interventista del gruppo futurista; con Depero pubblica, nel 1915, il manifesto La ricostruzione futurista dell’universo. Durante la guerra Balla si occupa soprattutto di design, arti applicate e moda. Nel 1925, con Depero e Prampolini rappresenta l’Italia a Parigi all’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes. Dalla metà degli anni Trenta i suoi rapporti con il futurismo vanno allentandosi progressivamente, fino al vero e proprio distacco, avvenuto nel 1937. Da questa data Balla ritornerà alla pittura figurativa.